sabato 26 ottobre 2013

Papers, Please e le glorie del socialismo quello vero


Papers, Please (Lucas Pope, 2013)
 



Basta sinfonie guerresche in stile Red Alert. Basta cupi scenari post-apocalittici alla Metro 2033. Basta rappresentazioni edulcorate di una madre Russia alla Tetris (o, peggio, alla Gorby no Pipeline Daisakusen)
Finalmente la gloriosa Unione Sovietica ha un gioco che la ricorda per quello che è stata veramente: un paese funzionante, visionario, moderno, ma logorato da nemici interni ed esterni. Questo gioco è Papers, Please.
Certo, dobbiamo vedere oltre il velo della censura delle nostre presunte democrazie occidentali per capire l'apologia nascosta in questo piccolo gioco. L'intento rimane evidente: rivalutare la più grande nazione mai esistita. 
Un gioco ripetitivo, Papers, Please: il giocatore interpreta un funzionario doganale che deve decidere, in base alle precise indicazioni ministeriali, se far entrare o meno coloro che vogliono varcare il confine.
Il socialismo attira le masse
speranzose di tutto il mondo
Seppur semplice, il gioco nasconde sottotrame, complotti, terrorismo: tutti escamotage della nazione socialista per rendere più emozionante l'attività, altrimenti noiosissima, dell'impiegato statale. Ed è così che va visto il gioco: come il continuo tentativo di un paese amorevole di rendere migliore la vita dei suoi cittadini: il tono cupo con cui è confezionato, una grafica pixel-pixel in cui gli unici colori sgargianti sono quelli del sigillo dell'Arstotzka (il paese socialista fittizio in cui è ambientato il gioco) potrebbe infatti trarre in inganno.
L'Arstotzka è quindi un grande paese: la qualità della vita è dimostrata dalla immensa fila di persone che attendono di ottenere un visto di ingresso. Ci sono file così in Iran? Suvvia. Ci sono file così nella Russia di adesso? Nossignore. Non ci sono nemmeno negli Stati Uniti. L'Arstotzka invece richiama masse di visionari, speranzosi, volenterosi lavoratori. E non parlo solo di manodopera: si va dalle brutte persone (come gli ingegneri), alle eccellenze del mondo della ricerca, passando ovviamente per tutti i tipi di lavoro, perché l'Arstotzka non fa distinzione di classe, di razza, di censo: per tutti applica le sue leggi rigorose ma giuste.
In quale altro paese un figlio ama
così tanto il proprio padre?
L'osservatore disattento potrebbe obiettare: il personaggio del giocatore vive una vita d'inferno, sempre in bolletta, con una famiglia da sfamare, e non sembra serenissimo. È chiaro però che questo senso di angoscia è creato dal giocatore stesso, visto che il protagonista del gioco non commenta mai, se non nel definire il suo villaggio di origine un “posto di merda”. Ma qui non giudichiamo i paesaggi. Giudichiamo i governi e le gloriose ideologie.
Quindi anche in un gioco programmato da un decadente occidentale capitalista la verità viene a galla: l'eroe del gioco infatti conduce una vita dignitosissima, resa dura dalle esigenze ludiche e non certo dall'apparato socialista, che gli permette, lavorando dignitosamente, di mantenere una famiglia decisamente numerosa. Certo non si vive nel lusso, chimera liberista dell'occidente imperialista, ma sicuramente la decenza è assicurata. Possiamo dire lo stesso? Io no di certo.
Che dire poi del visionario metodo di assegnazione del lavoro? In Arstotzka, infatti, il lavoro non si ottiene dopo un colloquio, ma vincendo una lotteria. Sembra un metodo inefficiente, ma è chiaramente la metafora di un sistema che non ammette favoritismi, senza però scadere nel mostruoso meccanismo di una meritocrazia esasperata, che premia i forti a scapito dei deboli. No. L'Arstotzka, da paese socialista quale è, accoglie le masse di disperati, gli fornisce asilo e riparo, senza chiedere una barbara lotta fratricida ai suoi figli per permettersi di sopravvivere.
Il buon vecchio Jorji, caro
amico e contrabbandiere
Insomma, uno smacco a tutte le sinistre del mondo, soprattutto quando, nonostante il cappotto del grigiume (imposto forse dalla censura plutocratica), si capisce che l'Arstotzka è governata da un apparato forse rigido ma senza dubbio serio ed efficiente, che non è stato mai influenzato da Bob Marley, dai fricchettoni e dalle bici a scatto fisso, ma che opera per il popolo in nome del popolo.
Si noti infatti che le uniche persone apertamente negative del gioco sono una guardia armata (che fa di tutto, cercando la complicità del giocatore, per ottenere arresti che gli assicurerebbero guadagni extra, incurante del destino dei migranti: rappresenta l'avidità e la corruzione interna al paese), e il misterioso esponente del gruppo ribelle, che cerca di minare la stabilità del governo Arstozkiano (negativo in quanto opposto alla nazione buona: rappresenta l'esterna spinta verso il più becero liberismo).
Gli altri sono personaggi umani, con luci e ombre, che colpiscono per il loro realismo e per la voglia di voler visitare o rendere migliore una grande nazione, che pare però, proprio a causa del suo puro idealismo, destinata a cadere.
Concludo menzionando il magnifico trailer di Papers, Please (visibile in apertura a questo post), che con poche immagini riesce a catturare l'essenza del gioco, aiutato dal glorioso main theme che difficilmente verrà scordata da chi ha avuto il piacere di provare questo gioco. Da brivido.

Nessun commento:

Posta un commento

AddThis

Ti potrebbero anche interessare:

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...